Il lagotto ha una storia molto antica che risale fino all’epoca etrusca dove diversi ritrovamenti raffigurano al fianco dell’uomo una cane utilizzato per la caccia, di medio/piccole dimensioni e dal pelo ispido e arricciato; era l’antenato dell’odierno lagotto romagnolo. E’ proprio nel suo nome che è contenuta tutta la sua storia fino ad oggi. Sembra quasi che questo compagno dell’uomo abbia affondato le sue radici (senza mai strapparle via) nei territori che dal ravennate si estendevano fino alle coste istriane, territori che prima delle bonifiche si presentavano paludosi e di conseguenza ricchi di selvaggina, ambiente ideale per un piccolo cane da riporto su acqua che grazie al suo ispido pelo arricciato e combinato con il fitto sottopelo, poteva nuotare per diverse ore, senza subire il freddo delle giornate invernali, con l’intento di recuperare la selvaggina così tanto cara al suo conduttore. Questi cani affiancavano nelle loro varie attività i vallaroli o “lagotti”, pittoreschi personaggi che prima delle grandi bonifiche di fine ‘800 furono la vera anima di quelle lagune ricchissime di selvaggina. Il nome di Lagotto deriva quindi, sicuramente, dalla sua funzione primitiva di cane da acqua. Del resto nel dialetto romagnolo “Càn Lagòt” è sinonimo di “cane da acqua” o “cane da caccia in palude dal pelo riccio e ispido”. Naturalmente “romagnolo” deriva dal fatto che questa razza si diffuse maggiormente nelle lagune romagnole ma credo voglia anche essere un’ omaggio a tutti gli abitanti di quell’aria che per anni utilizzarono questo fantastico cane scongiurandone l’estinzione. I vallaroli, difatti, che avevano in concessione le ben note “tinelle” (o “botti”) per la caccia di valle, accompagnavano abitualmente i signori in quell’affascinante e difficile pratica venatoria, ma non era l’unica attività alla quale si dedicavano, di fatti in quel periodo anche se la conoscenza del tartufo era minore, i vallaroli si dedicavano comunque alla sua ricerca utilizzando e sfruttando l’altra dote tipica di quel cane riccioluto quale la duttilità e l’intelligenza a svolgere qualsiasi tipo di ricerca. Questa doppia utilizzazione ha permesso a questa razza di non estinguersi durante, appunto, la bonifica di quelle paludi alla fine del 1800, ma di reinventarsi quali cani specializzati per la ricerca del mitico tuber, grazie come sempre al suo pelo riccio che gli permetteva di penetrare senza indugio nel fitto sottobosco, la dove altre razze a pelo raso esitavano ad andare. La stretta selezione fatta dai Vallaroli per mantenere e conservare le qualità fisiche e caratteriali dei loro cani da riporto venne però messa a dura prova dai tartufai di quell’epoca che alle caratteristiche fisiche e caratteriale preferivano quelle olfattive, incrociando così cani di razze diverse che però presentavano una dedizione spiccata alla ricerca del tartufo, non interessandosi affatto all’aspetto cinofilo ma solo a quello pratico del ritrovamento del tuber che andava via via facendosi conoscere in tutte le piazze italiane garantendo un buon riscontro economico ai loro ritrovatori. Fu solo grazie a 4 appassionati cinofili (Quintino Toschi, presidente del locale gruppo cinofilo, Francesco Ballotta, grande allevatore e giudice E.N.C.I. , Antonio Morsiani, cinologo, giudice ed allevatore di fama mondiale e Lodovico Babini, esperto cinofilo) che il lagotto a partire dal 1970 riemerse dal baratro dell’estinzione per fissare indelebilmente i suoi tratti morfologici e genetici odierni. Nel suo nome dunque la sua storia, quella di un cane da riporto su acqua che seppe adattarsi nel cercare l’ambito tartufo in quel dell’appennino romagnolo. Grazie al sempre più crescente interesse nei confronti del tartufo e al maggior numero di tartufai hobbisti o esperti questa razza ha abbandonato piano piano i confini romagnoli per portare la sua esperienza nella ricerca nelle altre regioni italiani, dove abbattendo il primo scetticismo nei suoi confronti il lagotto va conquistando sempre più appassionati facendo ricredere, con le sue doti olfatti e grande concentrazione nella ricerca, anche i tartufai più difficili. Il movimento d’interesse che cè dietro al lagotto romagnolo è ormai chiaro a tutti, non solo esiste un club italiano che ne tutela e promuove le caratteristiche ma questa razza è stata riconosciuta a livello mondiale dall’FCI (federation cinologique international ) dal Kennel club inglese e quello americano, riscontrando molti funs anche all’estero, dove addirittura stanno nascendo numerosi allevamenti specializzati nella selezione di questa razza.